Bistecche di formica (e altri cibi più strani del mondo)


Non mangia carote perché «mi ricordano i tempi duri della mensa scolastica». Non beve caffè «perché non tollero l’effetto». Scappa anche davanti al foie gras «per un fatto etico: mi cibo solo di animali che hanno vissuto bene». Però Carlo Spinelli, food writer che sul web per tutti è il Doctor Gourmeta, si definisce un «professionista della masticazione»: non si tira indietro davanti a una bistecca di orso «se mangiata in Slovenia, perché qui di orsi ce ne sono anche troppi e perciò la caccia è consentita», una frittata di larve di insetti, un gustoso hasma (ovvero tube di falloppio di rana).

Lo racconta in Bistecche di formica (Baldini & Castoldi, 17 euro): un saggio molto informato e terribilmente spassoso che racchiude le sue avventure culinarie in giro per il mondo passando in rassegna – dalla geofagia (cibarsi di terra) all’entomofagia (di insetti) fino al cannibalismo – alimenti e ricette che a noi italiani abituati alle lasagne e le polpette di mammà potrebbero sembrare assurdi.

«Perché quando si parla di cibo l’assurdità – spiega l’autore –è un concetto assolutamente relativo. Mangiare il coniglio, ad esempio, è un’abitudine qui in Italia, ma è considerato ripugnante in Thailandia, dove invece tra i piatti più diffusi ci sono insetti e funghi allucinogeni. Dipende da motivi culturali, religiosi, etici». Oppure, più semplicemente, dal fatto che un determinato cibo non si conosce abbastanza. Bistecche di formica, perciò, è l’occasione per aprire la mente, approfondire e magari cambiare idea: scoprendo nuovi ingredienti, curiosi aneddoti storici come la passione di Cleopatra per l’ippopotamo, che certi cibi antichi e inconsueti sono tra i must di stellatissimi chef che preparano succulenti brodi con sassi di mare (è il caso di Gennaro Esposito, a Sorrento) o rigatoni con resina (Carlo Cracco, a Milano). Che il futuro dell’alimentazione potrebbe essere una larva di formica, e che potrebbe rivelarsi buonissima.

Assicura Spinelli, perché i cibi di cui parla nel suo saggio li ha provati quasi tutti. «Questo libro – racconta – è frutto di input nati con Michele Dalai su Radio 2, di una ricerca bibliografica lunghissima nella quale mio padre Aldo (eclettico artista e inventore di giochi) è stato fondamentale, e racchiude esperienze personali e professionali che ho fatto in trent’anni in giro per il mondo».

Leggendo il saggio in effetti sembra che tu sia stato ovunque. Quanti paesi hai visitato?
«Sono stato in circa 40 paesi, la maggior parte dei quali per mangiare. Perché dopo l’adolescenza i miei viaggi sono stati essenzialmente culinari: se prima cercavo posti per divertirmi, adesso viaggio con la mia famiglia scegliendo la meta in base alla cucina. In Olanda, ad esempio, non vado da quando avevo vent’anni perché è il posto in cui ho mangiato peggio in assoluto».

Qual è il piatto più sorprendente che tu abbia mai mangiato?

«Non ce n’è solo uno. Il mondo è un menù a cielo aperto: una grande pescheria, una macelleria, un orto. Lungo la costa atlantica, in Galizia, ho assaggiato degli indimenticabili Percebes: costracei dalla forma fantascientica che sembrano essere usciti da Lo Hobbit, con una polpa arancione libidinosa. Tra le carni il top per me è quella di alce cruda: mangia solo muschi e licheni, e il sapore ne risente moltissimo. Quanto agli insetti non dimenticherò mai la volta in cui l’apicoltore Mauro Veca, facendosi pungere in modo da condurla in modo meno traumatico alla morte, mi fece assaggiare la borsa mielaria: la sacca intestinale in cui l’ape deposita il nettare che poi si trasforma in miele. Una bomba spettacolare di gusto».

Tra tutte le cose che hai mangiato, ce n’è una che ti fa ribrezzo?
«Lo squalo islandese: ha forti componenti di ammoniaca, che possono essere letali. Non rimangerei nemmeno l’intestino dell’ape: sa di pipì di gatto».

Quella volta che hai avuto più paura di assaggiare…

«Nelle Filippine, il cibo in questione era il balut: un uovo di anatra (si fa anche con la gallina ndr) fecondato e bollito poco prima della schiusa, quando l’embrione è quasi formato. All’inizio sono stato titubante, poi mi è piaciuto e lo ha assaggiato anche mia figlia (letteralmente onnivora come il suo papà, il libro è pieno di insoliti aneddoti di assaggi di famiglia, ndr)».

Il libro è anche un viaggio gastronomico nella storia. Secondo te chi è l’antenato del foodie moderno?

«Secondo me l’essere gourmet è scritto nella genetica. Anche solo il fatto che l’uomo del Neolitico, 15mila anni fa, abbia scelto di coltivare una mela anziché l’altra, è segno di una scelta di gusto. Sono gourmet anche i primati, che mangiano carne alternata alle foglie. Tra i grandi amanti delle gastrodroghe, gli elefanti. Un amico nepalese mi raccontava che le mandrie raggiungono abitualmente le piantagioni per mangiare foglie di marijuana».

Ormai tutti ci sentiamo esperti di cibo anche solo per aver provato qualche nuovo ristorante. In base alla tua esperienza, come credi che dovremmo imparare ad approcciarci al tema?

«Bisogna vincere le apparenze, non limitarsi a dire cosa è trendy, ma ricercare il valore reale della cucina: capire gli ingredienti, studiarne il gusto e l’origine. Certo, è importante (per chi può, ndr) andare in giro per ristoranti stellati e incontrare i grandi chef ma poi, se davvero vuoi saperne di più, devi rimboccarti le maniche, andare al mercato e mangiare cibo di strada. In Italia e nel mondo. Per esempio, a Singapore, il lunapark dei gourmet, mi dedico un paio di ristoranti top e poi vado a caccia di street food hardcore».


È hardcore il cibo che verrà? Cosa mangeremo  nel futuro?

«Supercibi: poco costosi, sostenibili, nutrienti. Il balut, per esempio, costa 20 centesimi di euro e ha le stesse calorie di una costata di manzo. O il miracle fruit, una bacca africana che mangi mezz’ora prima del pasto e trasforma l’amaro in dolce: dolcifica 5600 volte più del saccarosio e non fa male ai diabetici. Credo tantissimo anche negli insetti: il consumo di carne non è più sostenibile, e gli insetti ne sono un degno sostituto anche in termini di apporto nutrizionale. Mangeremo anche gli alberi e frutti inconsuenti considerati non commestibili. La resina di abete, per esempio: 400 grammi danno l’apporto di un piatto di fagioli. È ottima. Una volta Moreno Cedroni mi ha stupito con un gelato al cardamomo con resina di pini di Santorini. Indimenticabile».

Articolo di Fabiana Salsi – VanityFood contributor

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