Allarmismi alimentari: a chi convengono?


Nel corso degli ultimi decenni si sono verificati molti incidenti “alimentari”, che sono stati comunicati con modalità non sempre commisurate alla loro gravità, alimentando preconcetti, allarmismi e sconcerto nella cittadinanza. 

Tra gli incidenti che hanno fatto maggiore scalpore nel corso degli anni ricordiamo il vino con il metanolo, l’uso illegale degli ormoni per fare ingrassare i vitelli, la diossina nei mangimi, la presunta pericolosità degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM), la mucca pazza, l’influenza aviaria, gli alimenti provenienti dalla “terra dei fuochi”, la carne cancerogena, l’olio di palma.  

Se alcuni di essi (vino al metanolo e “mucca pazza” ad esempio) hanno richiesto un grosso impegno in quanto realmente pericolosi, per altri gli allarmismi sono stati a dir poco pretestuosi. Cerchiamo di capire quali possano essere le conseguenze della diffusione delle notizie con toni allarmistici. 

Cominciamo con i “media”. Essi sono alla continua ricerca di “scoop”, che possano incrementare la loro “audience” e di conseguenza rendere maggiormente “appetibili” gli spazi pubblicitari ai vari sponsor. 

Non sono rari i casi in cui gli “incidenti” sono sfruttati da settori produttivi a discapito di altri.

E’ il caso della “mucca pazza”, che ha favorito la vendita della carne di pollo; al contrario con l’influenza aviaria è drasticamente sceso il consumo di uova e di carni di pollo a favore della carne bovina e suina. Qualcosa di analogo è avvenuto quando è stata diffusa la notizia che la carne è cancerogena, a discapito dell’intero settore zootecnico. 

L’alimentazione è una disciplina molto complessa ed articolata, che richiede una solida preparazione scientifica. Per tale motivo i giornalisti si avvalgono della consulenza di esperti che generalmente forniscono pareri attendibili.  

I problemi nascono nei dibattiti, o meglio nei “talk show”, soprattutto televisivi, dove vengono invitati personaggi variopinti (ricercatori, professori universitari, cuochi, enologi, opinionisti di ogni genere), che si sbizzarriscono in spettacolari ed includenti discussioni che, tuttavia, hanno il potere di catturare l’attenzione degli spettatori e magari alimentare il clima di preoccupazione.  

Una notizia denigratoria, accompagnata magari da una campagna di raccolta di consensi attraverso uno degli strumenti esistenti in Rete, può mettere alle corde interi settori produttivi che per difendersi hanno poche alternative. Una è quella di mettere a tacere i denigratori con adeguati interventi “risarcitori” (finanziari, politici, posti di lavoro, ecc.), oppure con costose campagne informative difensive non sempre efficaci. 

Esistono poi delle aziende che utilizzano incidenti marginali (e forse “dolosi”) per ricavarne dei notevoli benefici. Trovare una confezione difettosa può essere l’occasione per ritirare dal mercato un’intera partita. Questa operazione, apparentemente costosa, può divenire un gigantesco gratuito messaggio pubblicitario. Saranno infatti le Autorità sanitarie a diffondere la notizia dell’avvenuto sequestro, magari a livello internazionale. L’azienda si “ammanta” di una immagine di enorme serietà e metterà immediatamente in commercio nuove partite che andranno a ruba. 

Insomma gli allarmismi alimentari sono sovente un colossale imbroglio e a farne le spese sono proprio i cittadini, che vengono disorientati e indotti a commettere degli errori che pagano profumatamente in termini economici e, qualche volta, anche di salute. 

Fonte "La Stampa"

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