Pirciati ch’abbruscianu


 E in quel momento, leggio leggio, gli arrivò col venticello della sera un sciauro che gli fece allargare le nasche: sciauro di cucina genuina e saporita, sciauro dipiatti cotti come u Signiruzzu comanda.

 Non ebbe più esitazioni, aprì la porta e trasì. Nella càmmara c’erano otto tavolini e uno solo era occupato da una coppia di mezzaetà.

S’assittò al primo tavolino che gli venne a tiro. «Mi scusasse, ma quello è prenotato» fece il cammareri-padrone, un tipo sissantino, pelato, ma coi baffi a manubrio, alto e tripputo.

Ubbidiente, il commissario si risusì. Stava per posare le natiche su una seggia del tavolino allato che il baffuto parlò nuovamente.

«Macari quello.» Montalbano principiò a sentirsi arraggiare. Ma quello gli dava la sconcica? Voleva attaccare turilla? Voleva farla finire a schifìo?

«Sono tutti occupati. Se vuole, posso conzare qua»  fece il cammareri-padrone vedendo che gli occhi del cliente si erano fatti trùbboli.

 E indicò un tavolinetto sparecchiatavola cummigliato di posate, bicchieri, piatti, vicinissimo alla porta della cucina dalla quale si partiva quel scianco che ti saziava prima ancora d’avere principiato a mangiare.

 «Va benissimo» fece il commissario. Si trovò assittato come in castigo, aveva il muro praticamente sulla faccia, per taliare la sala avrebbe dovuto mettersi di traverso sulla seggia e storcere il collo.

Ma che gliene fotteva di taliare la sala?  «Se se la sente, avrei i pirciati ch’abbruscianu» fece il baffuto.

Sapeva cos’era il pirciato, un tipo particolare di pasta, ma cosa avrebbero dovuto bruciare?

Non volle però dare all’altro la soddisfazione di spiargli com’erano cucinati i pirciati. Si limitò a una sola domanda: «Che viene a dire, se se la sente?» «Precisamente quello che viene a dire: se se la sente» fu la risposta.

«Me la sento, non si preoccupi, me la sento.»  L’altro isò le spalle, sparì in cucina, ricomparse doppo tanticchia, si mise a taliare il commissario.

Venne chiamato dalla coppia di clienti che spiarono il conto. Il baffuto glielo fece, i due pagarono e niscirono senza salutare.

«Il saluto qua non deve essere di casa» pinsò Montalbano, ricordandosi che macari lui, trasendo, non aveva salutato a nisciuno.

Il baffuto tornò dalla cucina e si rimise nella stessa ‘ntifica posizione di prima. 

«Tra cinco minuti è pronto» disse. «Vuole che le rapro la televisione, intanto che aspetta?» «No.»

Finalmente dalla cucina si sentì una voce femminina. «Giugiù!»

E arrivarono i pirciati. Sciauravano di paradiso terrestre. Il baffuto si mise appuiato allo stipite della porta assistimandosi come per uno spettacolo.

Montalbano decise di farsi trasire il sciauro fino in fondo ai polmoni. Mentre aspirava ingordamente, l’altro parlò. 

«La vuole una bottiglia di vino a portata di mano prima di principiare a mangiare?»

Il commissario fece ‘nzinga di sì con la testa, non aveva gana di parlare. Gli venne messo davanti un boccale, una litrata di vino rosso densissimo.

Montalbano se ne inchì un bicchiere e si mise in bocca la prima forchettata. Assufficò, tossì, gli vennero le lagrime agli occhi.

Ebbe la netta sensazione che tutte le papille gustative avessero pigliato foco. Si sbacantò in un colpo solo il bicchiere di vino, che da parte sua non sgherzava in quanto a gradazione.

«Ci vada chiane chiane e liggero» lo consigliò il cammareri-proprietario. «Ma che c’è?» spiò Montalbano ancora mezzo assufficato.

«Oglio, mezza cipuddra, dù spicchi d’agliu, dù angiovi salati, un cucchiarinu di chiapparina, aulive nìvure, pummadoro, vasalicò, mezzo pipiruncinu piccanti, sali, caciu picurinu e pipi nivuru» elencò il baffuto con una nota di sadismo nella voce.

«Gesù» disse Montalbano. «E chi c’è in cucina?» «Me mogliere» rispose il baffuto andando incontro a tre nuovi clienti.

Intercalando le forchettate con sorsate di vino e gemiti ora di estrema agonia ora di insostenibile piacere («esiste un piatto estremo come il sesso estremo?» gli venne di spiarsi a un certo punto), Montalbano ebbe macari il coraggio di mangiarsi col pane il condimento rimasto sul fondo del piatto, asciucandosi di tanto in tanto il sudore che gli spuntava in fronte.

«Che vuole per secondo, signore?»

Il commissario capì che con quel «signore» il padrone gli stava rendendo l’onore delle armi. «Niente.»

«E fa bene. Il danno dei pirciati ch’abbruscianu è che uno ripiglia i sapori il giorno appresso» “

 

La lettura di questo passo del romanzo “l’Odore della notte” di Andrea Camilleri, è stata l’ispirazione della ricetta che ho cercato di replicare, ad eccezione dei Pirciati, una pasta tipica siciliana, che ho sostituito con i bucatini, e il pomodoro, che  non ho aggiunto.

Ingredienti : Pirciati (pasta tipica siciliana) o bucatimi, pecorino grattugiato, cipolla, aglio, filetti d’acciuga sotto sale,  peperoncino piccante, capperi, olive nere, basilico, olio extravergine d’oliva,sale, pepe.

Fate soffriggere aglio e cipolla in un filo d’olio, quindi aggiungete il peperoncino  e le acciughe.

Quando i filetti di acciuga si saranno sciolti unite olive, capperi, sale e pepe, lasciate cuocere il sugo per dieci minuti, quindi aggiungete qualche foglia di basilico.

Nel frattempo fate cuocere la pasta, scolatela un po’ al dente e unitela al sugo, cuocendo a fiamma viva per qualche minuto.

Servite spolverizzando con il pecorino grattugiato, un paio di foglie di basilico e un po  di pepe nero macinato al momento.

 

Accompagnate con un buon vino rosso, ad esempio  Nero d’Avola o Syrah.

Buon Appetito,

Rossana

 

 

 

 

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