Le vipere in Italia, le specie e i consigli utili


Con l’approssimarsi della bella stagione iniziano a risvegliarsi i rettili e, anche se raramente, può capitare di incontrarli all’interno dei nostri orti.

Vale allora la pena di approfondire la conoscenza di quello che desta maggiore preoccupazione, la vipera.

In Italia gli unici serpenti velenosi in grado di causare una sintomatologia significativa appartengono al genere Vipera.

Considerate dalla maggior parte della popolazione come animali molto pericolosi, questi piccoli ofidi godono di una fama quantomeno esagerata.

Anzi, secondo l’opinione comune, sembrerebbe di avere a che fare con serpenti che non hanno niente da invidiare ai cobra a alle vipere africane,  invece la realtà è ben diversa.

Le vipere con le quali abbiamo a che fare sono timide, paurose ed assolutamente inclini ad evitare il più possibile il contatto con l’uomo.

Inoltre, pur possedendo un veleno piuttosto attivo, rispetto a tanti altri serpenti considerati molto pericolosi, generalmente inoculano con un morso una dose subletale di veleno che, per una adulto in sane condizioni fisiche, rendendo spesso necessarie solo cure mediche a livello locale.

Le specie di vipere che si possono incontrare in Italia sono quattro: Vipera Aspis, V. Berus, V. Ammodytes e V. Ursini.

Le V. Aspis, comunemente chiamate aspidi (da non confondere con l’aspide di Cleopatra), sono gli ofidi più comuni presenti nel nostro Paese, nonché i responsabili del maggior numero di morsicature.

Si tratta di un animale che rispecchia appieno le caratteristiche somatiche della famiglia dei Viperidi: corpo tozzo, coda corta, testa triangolare ben distinta dal collo e squame carenate, caratteristiche comuni anche alle altre specie di vipere italiche.

Il disegno dorsale, più o meno marcato a seconda della sottospecie, ricorda una sorta di zig-zag e la colorazione può essere estremamente variabile, passando dal biancastro degli esemplari albini, al grigio, al rossiccio, al marrone, al verde, fino ad arrivare alle livree completamente nere degli esemplari melanici.

Caratteristica specifica della V. Aspis è la punta del muso rivolta all’insù.

Diffusa dalle Alpi alla Sicilia ( con la sola esclusione della Sardegna dove non esistono serpenti velenosi), abita prevalentemente zone assolate ai margini dei boschi, pietraie e zone aride, ma è possibile incontrarla anche in aree con folta vegetazione e fino ad un’altezza di 3000 metri.

La V. Aspis può raggiungere la lunghezza di 95 cm, anche se la dimensione media di un esemplare adulto si aggira tra i 50 e i 60 cm

Il primato della vipera che raggiunge le dimensioni maggiori spetta alla V. Ammodytes o vipera dal corno. Il nome deriva, infatti, da una piccola protuberanza carnosa, posta all’apice del muso, che la rende inconfondibile.


Ornata da un ampio disegno dorsale a zig-zag, è caratterizzata anch’essa da una notevole varietà di colorazioni.
La vipera dal corno raggiunge i 120 cm di lunghezza, anche se normalmente un adulto misura intorno ai 75 cm ed è diffusa nel nostro Paese in Trentino, Friuli e Veneto settentrionale, ove abita sostanzialmente gli stessi biotopi dell’aspide, anche se sembra prediligere maggiormente le zone aride e sassose.

La quarta specie é la V. Ursini.

Diffusa esclusivamente in una limitata zona appenninica dell’Italia centrale, questo piccolo serpente (raggiunge al massimo i 50 cm), ricorda molto il marasso, ed è considerata, da un punto di vista tossicologico, quasi innocua.
 
Essere in grado di distinguere una vipera da un comune serpente non velenoso è importante  per evitare inutili allarmismi quando si incontra un ofide durante un’escursione, ma diventa essenziale in caso di morsicatura.

Se ad un profano i serpenti possono sembrare tutti uguali, in realtà, le differenze tra un Viperide e un Colubride sono molte.

Innanzi tutto, a parità di lunghezza, risulta evidente una struttura fisica molto differente: le vipere
sono decisamente più tozze ed hanno la coda molto corta (mediamente 1/8 della lunghezza), mentre i serpenti non velenosi hanno un corpo molto più slanciato, con una coda piuttosto lunga.

Un’altra differenza abbastanza evidente è la conformazione della testa, nei Viperidi è di forma vagamente triangolare e, comunque, ben distinta dal collo, a differenza dei Colubridi, la cui testa è ovoidale e quasi per nulla distinta dal collo.
Queste sono indubbiamente le cose che si possono più facilmente notare, soprattutto se si tratta di un
riconoscimento da effettuare “sul campo”.

In natura, infatti, i serpenti tendono sempre a fuggire e, solitamente, non collaborano molto nel rimanere fermi a farsi identificare.

Spesso, nella migliore delle ipotesi, l’unica cosa che si riesce a vedere è la coda, ma, con un minimo di esperienza, anche solo questo piccolo indizio può essere sufficiente a determinare la famiglia di appartenenza.

Può fornirci un utile indicazione anche la velocità con la quale l’ofide si allontana: se è piuttosto lenta e produce un rumore continuo, è probabile che si tratti di una vipera;  se è molto veloce si può essere certi che si tratta di un serpente non velenoso.

Se si ha la possibilità di osservare da vicino l’animale da identificare, vi sono altre differenze che si possono notare.

Tutti i Viperidi italiani possiedono una pupilla ellittica, disposta verticalmente, mentre quella dei Colubridi è rotonda.

Questi ultimi possono essere identificati dalle squame cefaliche, che sono poche, grandi e disposte simmetricamente, a differenza di quelle delle vipere che sono molte, piccole e disposte in forma irregolare.

Non costituiscono invece un valido mezzo di riconoscimento né la colorazione, né, tantomeno, il disegno dorsale.

Il caratteristico disegno a zig-zag delle vipere può, infatti, essere riscontrato anche in ofidi innocui come la Natrix Tessellata (che, tra l’altro, ha anche le squame leggermente carenate e non lisce come la maggior parte dei Colubridi, finendo così per assomigliare ancor di più ad una vipera), mentre esistono esemplari di Viperidi con una bellissima livrea in tinta unita (varietà concolor, melanica, melanotica o albina).

Un ultimo aiuto all’identificazione può essere fornito dalla conformazione del muso, che, se nei serpenti non velenosi è arrotondato, nel caso della Vipera Aspis è rivolto nettamente all’insù, mentre sull’apice di quello della V. Ammodytes vi è addirittura un piccolo corno carnoso, che, oltre a darle il nome, la rende inconfondibile.

Tenendo sempre in debita considerazione che, quando andiamo in un bosco, siamo noi ad andare “a casa della vipera” e non viceversa, vi sono alcune semplici regole da seguire per limitare il più possibile la probabilità di un incontro ravvicinato con uno di questi serpenti.

Prima di tutto va ricordato che le vipere prediligono luoghi abbandonati, dove la presenza umana è più scarsa o, meglio ancora, assente.

E’ bene quindi tenere presente che, quando ci si allontana dai sentieri più battuti per inoltrarsi in zone più isolate, aumenta anche la probabilità di un incontro.

Va fatta inoltre attenzione nei casolari abbandonati e nei ruderi in genere, nonché alle cataste di
legna, ai muretti a secco, alle pietraie e ai tronchi cavi, tutti luoghi che possono fornire ad un serpente un buon riparo, ma la regola d’oro per evitare di fare spiacevoli incontri è una sola: non mettere mai le proprie mani e i propri piedi in posti dove non si è guardato prima.

Sarà sufficiente smuovere con un bastone la zona interessata per essere sicuri di non fare spiacevoli incontri.

Tra le cose da non fare una delle più importanti è questa: non molestate mai volontariamente i serpenti ed evitate sempre di cercare di catturare o di uccidere una vipera.

Se è vero che nei Paesi in via di sviluppo, il maggior numero di morsicature è causato dal fatto che gli abitanti delle zone rurali camminano scalzi (o, al massimo, muniti di sandali) in zone infestate da serpenti velenosi, è ormai appurato che nei Paesi più avanzati, il maggioranza delle morsicature vengono inflitte a persone che maneggiavano, molestavano o tentavano di uccidere serpenti velenosi.

E’ consigliabile, inoltre, evitare di camminare nell’erba alta, soprattutto se esposta al sole, e comunque è sempre buona norma indossare, durante le passeggiate, scarponcini da trekking, meglio se sopra ad un paio di spessi calzettoni.

Le vipere italiane possiedono delle zanne velenifere che, al massimo, possono misurare circa 5 mm e quindi un tale abbigliamento è più che sufficiente ad evitare ogni rischio di morsicatura, soprattutto se consideriamo anche il fatto che un morso difensivo avviene ad una velocità variabile tra 1/10 ed 1/40 di secondo (relativamente alla temperatura dell’ambiente e alle condizioni fisiche dell’animale) facendo sì che difficilmente il serpente riesce a far penetrare i denti veleniferi per più della metà della loro lunghezza.

Va ricordato, inoltre, che se, generalmente, le vipere si trovano sul terreno, può capitare che, talvolta, salgano su arbusti, cespugli o, addirittura, piccoli alberi.

Un’ultima regola, che non ha molta rilevanza nell’evitare di essere morsi, ma che riveste invece un’importanza vitale nel caso che una persona lo fosse, consiste nel non andare mai da soli in zone popolate da serpenti velenosi.

Se si è almeno in coppia e uno dei due dovesse essere avvelenato, l’altro avrebbe la possibilità di andare a chiamare i soccorsi. 

Un’ultima considerazione: non toccate mai vipere morte, in quanto, per alcune ore dopo il decesso, i serpenti possono conservare la reazione nervosa dell’atto della morsicatura e quindi sono potenzialmente in grado di causare un avvelenamento.

Il serpente velenoso che ogni anno causa il maggior numero di morsicature nel nostro Paese è, senza alcun
dubbio la Vipera Aspis.

Ritenuta spesso mortale dalla maggioranza della gente, in realtà, questo piccolo ofide, causa nella quasi totalità dei casi in cui sia effettivamente avvenuto l’avvelenamento, una sintomatologia piuttosto modesta, limitata ad un intenso dolore locale, ecchimosi, edema duro della parte colpita e stillicidio
dai fori causati dai denti veleniferi.

Nei casi più gravi, che fortunatamente sono rari, si possono riscontrare, nell’arco di ventiquattro ore dal morso, la comparsa di un malessere generale, nausea, vomito, cefalea, vertigini, stato di angoscia, diarrea, sete, dolori addominali, disturbi cardiocircolatori di tipo vasoparalitico (ipotensione e shock), diminuzione dell’attività protrombinica (in pratica un’alterazione della coagulazione sanguigna), ptosi palpebrale e alterazione aspecifiche dell’ECG.

E’ possibile la necrosi tubulare con conseguente insufficienza renale.

Il sistema nervoso centrale può essere depresso (coma) o, al contrario, “eccitato” (convulsioni).

E’ estremamente raro che la sintomatologia peggiori ulteriormente e, in ogni modo, ciò avviene solitamente a causa di disturbi già presenti nel morsicato prima dell’avvelenamento.
Il morso della Vipera Ammodytes ricalca sostanzialmente la sintomatologia causata dall’aspide. La differenza più significativa risiede in un edema più importante ed esteso, dovuto essenzialmente al fatto che la vipera dal corno inocula solitamente una quantità di veleno maggiore rispetto a quella della V. Aspis (anche se in proporzione la sua tossicità è decisamente inferiore).

L’avvelenamento causato dalla Vipera Berus differisce sostanzialmente da quello prodotto dalle due specie precedenti in quanto il suo veleno è più ricco di neurotossine.

Nella maggioranza dei casi i sintomi si limitano a dolore locale (anche intenso), edema, ecchimosi, malessere generale. Nei casi più gravi, si riscontrano nausea, vomito, diarrea, gonfiore con  successive parestesie del viso, delle labbra e della lingua, emorragie e shock (causato dall’abbassamento della
pressione sanguigna).

L’edema può essere in questi casi così esteso da raggiungere anche il torace, se è stato interessato un arto superiore, o l’addome, se l’arto è inferiore.

Dopo aver analizzato la sintomatologia sono necessarie alcune considerazioni.

Le vipere italiane, pur possedendo dei veleni molto attivi, inoculano generalmente una dose subletale di veleno per un adulto in sane condizioni fisiche.

Giova anche ricordare che nei morsi di carattere difensivo non è raro che l’animale non inoculi affatto veleno oppure ne inoculi solo una minima parte, nel tentativo di non sprecare una cosa per lui
essenziale per mangiare.

Ovviamente occorre porre particolare attenzione quando ci si trova di fronte ad un morso multiplo, poiché vi è la possibilità che sia stata iniettata una quantità maggiore di veleno e va altresì controllato che il punto della morsicatura non coincida con un vaso sanguigno perché, in questo caso, la
sintomatologia diventa sicuramente importante e sistemica.

Particolare attenzione va posta anche quando il morsicato è un bambino, perché ha una massa corporea minore rispetto ad un adulto e di conseguenza la dose letale è minore, e quando riguarda un anziano, per ovvi motivi di debilitazione fisica.

Un’ultima considerazione va fatta sull’impiego del siero antiofidico.

Secondo la casistica del Centro Antiveleni di Milano, l’uso dell’antitossina viene consigliato solo nel 10% dei casi di effettivo avvelenamento da morso di vipera ed in particolare solo quando vi sia evidente sintomatologia sistemica.  

Questa percentuale dovrebbe già da sola illustrare ampiamente la reale pericolosità di questi serpenti velenosi.
Il morso di una vipera italiana è sicuramente un’evenienza che crea nel malcapitato un estremo allarme e uno stato di stress: tale situazione, particolarmente se vi è dolore in sede di morso, determina una sintomatologia neurovegetativa (sudorazione, malessere generale, paura fino ad un vero e proprio attacco di panico), con un aggravamento dei sintomi soggettivi: questo determina una esagerata attività motoria con contrazione muscolare che facilita, se vi è stata inoculazione di veleno, una più rapida entrata in circolo dello stesso.
E’ quindi indispensabile che il paziente sia rassicurato: infatti l’avvelenamento, si verifica piuttosto raramente e quasi mai dà origine a sintomi immediati (l’unico caso è quando il morso sfortunatamente interessa proprio un vaso sanguigno con iniezione del veleno direttamente in circolo: in questo caso la sintomatologia compare rapidamente e diventa importante e sistemica cioè coinvolge tutto l’organismo e non solamente gli organi bersaglio del veleno).

Vi è quindi tutto il tempo per trasportare il paziente in ospedale con alcune precauzioni che verranno esposte più avanti.

Anche nei casi più gravi, solitamente passano alcune  ore prima che si manifestino sintomi sistemici importanti.
E’ indispensabile comunque che non vengano eseguite delle manovre avventate e soprattutto errate in modo da non provocare danni che, a volte, possono essere molto più pericolosi, per il paziente, del veleno stesso del serpente: infatti come sempre, è fondamentale, anche per questo tipo di avvelenamento, che il primo soccorso sia corretto e che il soccorritore abbia ben chiare le manovre da adottare senza lasciarsi a sua volta prendere dal panico.

COSA NON FARE:
• Incisione della cute: questa manovra eseguita da mani inesperte e con strumentazioni non adeguate,
provoca inevitabilmente danni che possono non solo interessare tendini e nervi, ma anche vasi sanguigni. Se vengono recisi dei tendini e nervi soprattutto in quelle zone in cui questi sono facilmente raggiungibili, possono risultarne lesioni anche invalidanti; se vengono recisi vasi e, questo è sicuramente inevitabile, si ottiene l’effetto di facilitare l’entrata in circolo del veleno con aggravamento del quadro clinico.
• Suzione della ferita: questa tecnica non si è rivelata di alcuna utilità pratica.
• Laccio emostatico: l’applicazione del laccio emostatico viene normalmente suggerita allo scopo di
rallentare il drenaggio linfatico e quindi l’entrata in circolo del veleno, ma la sua applicazione, eseguita
in modo scorretto, può provocare una diminuzione (fino all’arresto) della perfusione a valle
dell’applicazione dello stesso: questo determina una diminuzione dell’apporto non solo di ossigeno che
viene trasportato dal sangue arterioso, ma anche una mancata eliminazione delle sostanze metaboliche
che normalmente vengono riversate nel sangue venoso per essere eliminate: questo è quello che in
termini “tecnici” viene definito anossia istotossica.

La conseguenza è un aggravamento del danno locale e con conseguente sofferenza fino alla necrosi della zona con estremo aumento del dolore.

Inoltre al momento della rimozione del laccio, vengono immesse in circolo le sostanze provenienti dalla zona lesa, risultato sia del morso che della ipoperfusione con quadro di grave shock..
• Applicazioni locali di ghiaccio o soluzioni refrigeranti: l’utilizzo di questa tecnica determina una
vasocostrizione che non ha alcun effetto sul veleno eventualmente iniettato, ma che può invece
aggravare il danno locale soprattutto quando il veleno provoca necrosi locale.
• Somministrazione del siero al di fuori di strutture ospedaliere attrezzate: la somministrazione del
siero antiofidico essendo eterologo, perché proveniente solitamente dal cavallo, espone al rischio di
reazioni allergiche gravissime e rapidamente mortali in ambiente non attrezzato a fronteggiare
adeguatamente questa evenienza. Il siero non deve essere somministrato sottocute e tanto meno intorno
alla zona in cui si è verificato il morso. Inoltre deve essere mantenuto costantemente a temperatura di
4°C, quindi se viene tenuto a lungo a temperatura ambiente, come probabile durante un’escursione, può
alterarsi e dare ulteriori problemi quando viene somministrato.
• Assunzione di alcolici : l’abitudine a considerare l’alcool efficace come supporto terapeutico non ha
alcun fondamento razionale: infatti non solo ha un effetto depressore sul Sistema Nervoso Centrale, ma
determina una vasodilatazione periferica facilitando quindi l’assorbimento del veleno.

COSA FARE

 Prevenire l’agitazione con conseguente ipermobilizzazione della zona colpita: se il paziente è colto
da paura si agita più facilmente, aumentando così la contrazione muscolare e quindi la “pompa
muscolare” con drenaggio del veleno verso i vasi sanguigni; inoltre, per lo stesso motivo è
sconsigliabile, quando possibile, che il paziente si rechi a piedi all’ospedale più vicino, ma aspetti i
soccorsi, possibilmente immobile con immobilizzazione dell’arto colpito come per frattura (vedi
avanti).

Immobilizzare l’arto colpito: l’immobilizzazione dell’arto colpito da morso di serpente è la tecnica
proposta per rallentare l’entrata in circolo del veleno.

 

Trasporto in Ospedale nel tempo più breve possibile, ma sempre tenendo conto che l’azione del veleno
delle vipere italiane si svolge nell’arco di ore e non di minuti.

Nel caso in cui ci si trovi in luoghi particolarmente isolati che possono richiedere molto tempo per trasportare l’avvelenato in ospedale, può essere opportuno applicare un bendaggio linfostatico qualora la morsicatura riguardi un arto.
In questo caso si pratica una fasciatura con una benda larga (anche di fortuna) procedendo dal punto di inoculo verso l’estremità dell’arto per poi risalire fino alla radice dello stesso.

Infine, si procede sempre con la steccatura come se fosse una frattura, la fasciatura non deve essere troppo stretta e deve consentire di percepire comunque le pulsazioni cardiache.

Il suo scopo è quello di fermare la circolazione linfatica senza arrestare quella venosa.

 

In ogni caso, la necessità dell’applicazione del bendaggio linfostatico deve sempre essere valutata con scrupolo in quanto, oltre a causare un’aggravamento della sintomatologia locale aumentando il rischio di necrosi della parte colpita, quando viene rimossa causa un immediato rilascio del veleno e delle sostanze tossiche prodotte dallo stesso nel circolo sanguigno: è quindi imperativo che venga rimossa solamente in ospedale, sotto stretto controllo medico.

Fonte internet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *