I segreti d’Italia


Ho finito di leggere un bel libro di Corrado Augias, fine intrattenitore, che mi ha sorpreso per qualità e argomentazioni e che mi permetto di consigliare, “ I segreti d’Italia”.

Augias ci offre un nuovo capitolo della sua personale narrazione dell’Italia, stavolta compiendo – per così dire – una ricognizione ad altezza di campanile, visto che le tante città di cui racconta sono altrettanti osservatori sulla diversità di caratteri e la ricchezza delle storie che hanno portato il nostro Paese ad essere quello che è oggi.

Nel bene – poiché agli italiani Augias è pronto a riconoscere qualità straordinarie, solo che siano sollecitate dalle circostanze storiche e non molcite dalla troppa autoindulgenza che ci è propria – e nei mali, che sono tanti e a volte sembrano talmente radicati e endemicamente diffusi da far temere che il meglio, per il nostro Paese, sia ormai definitivamente alle spalle.

I segreti d'Italia di cui parla Augias in questo bel libro, non sono le solite storie che di stragi senza colpevoli e di cadaveri eccellenti di cui la nostra storia recente è putroppo costellato.

Augias racconta di quell'Italia misteriosa, perché poco conosciuta. Storie del nostro passato e personaggi famosi e meno famosi che ne hanno fatto parte; monumenti, tombe, affreschi, teatri. Ma anche libri, opere teatrali, film, poesie.

Esiste un'Italia che forse non conosciamo a sufficienza (la tomba di Tasso dove leopardi si commosse, il convento dei cappuccini con le mummie a Palermo, la cappella Scrovegni con gli affreschi di Giotto) ma che è ricca testimone del nostro passato, della nostra storia. Che hanno sì che noi italiani oggi siamo gli italiani che siamo.

A mettere in luce italiche virtù e atavici vizi del nostro carattere nazionale, Augias chiama due testimoni eccellenti, pur se fittizi: i protagonisti di “Cuore” di De Amicis e Andrea Sperelli, eroe (sui generis) del dannunziano “Il piacere”.

Genio e decadentismo, sensibilità e superbia, orgoglio e umiltà: sembra che il motore perpetuo dell’immagine che gli italiani alimentano di sé nei secoli sia proprio questa dualità, corrente alternata dal potenziale inesauribile che vede ogni segno positivo specchiarsi e contraddirsi nel suo opposto, e non esserne tuttavia neutralizzato.

Ma ad una divertita e affascinante visione  dell’italianità, precipitata nei caratteri romanzeschi di cui abbiamo detto, il giornalista è bravo a far seguire il suo racconto con il passo del narratore, e senza indulgere in massimalismi né moralismi.

È l’Italia, in fondo, quella di cui si sta raccontando, e di carne al fuoco ce n’è tanta.

Tantissima, anzi: a cominciare da una Roma papalina, che qui viene mostrata attraverso gli occhi di un grande poeta, Giacomo Leopardi, e descritta con le parole che egli stesso scelse per raccontarla a suo fratello, durante un soggiorno di sei mesi nel 1822.
Leopardi ne ha per tutti, e riesce a virare al cenere, intingendo la penna in un calamo di amarezza e delusione, persino i colori di una città che sarà anche stata corrotta e decadente, ma di certo non era grigia.

Niente di più lontano, dunque, dall’immagine oleografica e un po’ stagnante dalla quale raramente i cronisti della città eterna riescono a staccarsi nel cantarne le molte bellezze: Leopardi di Roma notò lo straordinario provincialismo e dei romani i costumi meschini e ipocriti, ma nelle sapide noterelle scritte di suo, assieme a Roma scopriamo anche un Leopardi sconosciuto e sorprendente.

Augias compie sovente il viaggio in compagnia dei libri e dei loro autori, senza temere di appoggiarsi alla tanta letteratura che l'ha preceduto nella descrizione di atmosfere e caratteri, ma cavando anzi da essa un valore aggiunto che fa venir voglia di approfondire.

Ma torniamo al libro e alle sue città: oltre che in quelle della Capitale, cammineremo per le strade di Palermo (qui avendo come portolano un libro di Pietro Zullino, “Guida ai misteri e ai piaceri di Palermo”, purtroppo oggi introvabile e che meriterebbe una ristampa), approderemo a Napoli, fra inventori geniali e briganti; proseguiremo per Venezia e Milano, dove ci addentreremo alla scoperta delle origini del ghetto e guarderemo al rallentatore cosa si sviluppò attorno al boom più rumoroso della storia d'Italia.

Accanto a questi luoghi proverbiali, ci sarà anche il tempo per una digressione assisana, sulle tracce di un Francesco dalla statura tragica e intensissima, molto lontano dall'agiografia senza spigoli che l'ha portato nei secoli a diventare un modello per i fabbricanti di saliere da tavola.

In tanti, appassionanti capitoli, scopriamo un po' di più del nostro passato e del modo in cui anch'esso – con tutto il suo portato di splendori e miserie – ha contribuito a fare di noi e del nostro Paese quel che siamo diventati oggi.

Per arrivare ad una risposta, Augias parte da due punti di vista: come sono visti gli italiani dall'estero, e come noi italiani ci vediamo dal di dentro. E dunque, come mai gli stranieri ci giudicano in modo così contraddittorio?

Da una parte l'Italia come paese della bellezza, patria dell'ingegno, dell'arte, della buona cucina e del bel paessaggio.

Dall'altra il giudizio su noi italiani, non sempre del tutto veritiero. Un popolo di furbi, indolenti, pigri, traditori, oziosi. Capaci di grandi slanci temporanei per un tumulto, una piccola sommossa, ma incapaci di portare avanti una vera rivoluzione (o un vero processo di cambiamento).

Augias, nel capitolo dedicato a Venezia, cita l'episodio del Ghetto, dove la Serenissima aveva rinchiuso tutta la popolazione ebraica. Una vergogna cui solo l'invasione napoleonica aveva messo fine

Racconta Augias, "Se si passa alla storia, la verità è forse peggiore: per fare crollare le tirannidi e far sorgere la libertà, in Italia c'è stato spesso bisogno di un aiuto straniero; nel paese delle massime libertà spicciole, praticate da molti fino all'arbitrio e all'abuso, le grandi libertà civili, quelle che garantiscono agli individui l'esercizio dei diritti, sono state per lunghissimi periodi, compresi i nostri giorni, trascurate e offese."

Buona lettura