Torneremo tutti agricoltori ( sarà la nostra salvezza)?


Negli anni ’50 eravamo una terra di agricoltori diventati operai, nel giro di vent’anni gli operai sono diventati impiegati. Il problema sono i figli degli impiegati, cui era stata promessa la luna di un lavoro creativo, senza cravatte, gerarchie, noia i quali, complice la crisi economica, si sono ritrovati, molto più prosaicamente, senza un lavoro.

Molti di loro ancora non si sono rassegnati a cercare il loro personale eldorado nella giungla del terziario avanzato, altri, invece, sono tornati al punto di partenza, ai campi e alla terra.

  

Pauperismo anti-capitalista? Decrescita felice? Niente di tutto questo.

Al contrario, in questi ultimi anni, mentre il PIL italiano cadeva, il valore aggiunto dell’agricoltura italiana è cresciuto, compreso l’export, il quale è decaduto in altri settori.

Questa crescita agricola ha avuto effetti benefici anche sull’occupazione, ma non è riuscita ad influire più di tanto su quella generale del Bel Paese, determinata da un forte calo in tutti gli altri settori.

Pochi se ne sono accorti, in questi anni, ma l’agricoltura è una delle poche vere eccellenze che sono rimaste a questo paese. Come ben racconta l’ultimo rapporto di Fondazione Symbola dedicato all’agricoltura, sono ben 77 i prodotti in cui la quota di mercato mondiale dell’Italia è tra le prime tre al mondo, 23 ( pasta, pomodori, aceto, olio, fagioli, tra questi) in cui è la prima.

La nostra capacità di primeggiare è figlia, soprattutto, della grande qualità delle nostre produzioni.

Non è un caso, peraltro, che non ci sia agricoltura in Europa, e poche al mondo, che abbia una capacità di generare valore aggiunto quanto quella italiana.

Da noi, un ettaro di terra, produce 1989 euro di valore aggiunto: ottocento euro in più della Francia, il doppio di Spagna e Francia, il triplo dell’Inghilterra.

Altro dato piuttosto sorprendente è la nostra primazia nell’economia delle produzioni biologiche.

Nessun paese Europeo ha tanti produttori quanti ne ha l’Italia, che ne può contare ben 43.852, il 17% di tutti i produttori europei.

Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini continentali, siamo anche sesti al mondo per ampiezza delle superfici a biologico, che crescono a un ritmo di 70mila ettari l’anno.

Il risultato di quest’eccellenza è il frutto dell’innesto di menti giovani e di pensieri innovativi dentro mestieri antichi: oggi, un’azienda agricola su tre è guidata da persone che hanno meno di trentacinque anni.

Non ci sono solo loro e non c’è solo l’anagrafe:

L’intreccio con nuovi saperi e nuove tecnologie sta davvero cambiando i connotati all’agricoltura.Un tempo agricoltura era sinonimo di coltivazioni con finalità alimentari, oggi non è più così.

Oggi l’agricoltura è una piattaforma su cui si innestano molteplici tipi di industrie, dalla alimentare alla chimica, dall’energia al tessile.

Con gli scarti della produzione agraria ad esempio è possibile produrre prodotti biologici in altri settori.

Una sorta di bioeconomy che comprende tutte le produzioni sostenibili di risorse biologiche rinnovabili e la loro conversione, come ad esempio quella dei flussi di rifiuti in cibo, mangimi, o prodotti bio-based, come le bioplastiche, i biocarburanti e bioenergia.

Un macro-settore, questo, che seppur neonato in Italia vale già 241 miliardi di euro e occupa 1,6 milioni di persone.

Una soluzione per sfamare, vestire, riscaldare nove miliardi di persone senza distruggere il pianeta.

Forse il ritorno all’agricoltura potrebbe essere non solo la nostra salvezza in tema economico, ma anche quella dell’ intero pianeta in tema ambientale.

Fonte internet