Santana IV, 50 anni di musica


Non so se  a quelli della mia generazione fa più impressione sentire “mezzo secolo”  o ” 50 anni” , ma sono passati davvero e tutti, almeno una volta , abbiamo ascoltato e ballato ” Samba pa ti” di Carlos Santana.

Con un immenso piacere ho accolto l’uscita di “Santana IV”, anche perchè la sua attualità mi fa sentire meno vecchio !

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Sono passati 50 anni dalla prima formazione della Santana Blues Band, la stessa che ridenominata semplicemente Santana si esibì al Fillmore West Festival del 1968 e che grazie alla partecipazione del suo leader nell’album “The Live Adventures of Al Kooper And Mike Bloomfield” si assicurò un contratto con la Columbia, prima che la sua esibizione al festival di Woodstock la catapultasse ai vertici delle classifiche.

Considerato uno degli album fondamentali della musica rock, “Abraxas” è l’archetipo perfetto della fusione di ritmi afro, divagazioni blues, sonorità latin-rock e psichedelia della band americana, una magia che si è interrotta nel 1971 con la fuoriuscita di David Brown, Michael Carabello e il continuo rimpasto di formazione, che ha di fatto trasformato la band nell’appendice tecnica del suo leader.

santana_iv_album_cover_011116_1_2      Suenos 

Dopo 45 anni la prima line-up ritorna insieme con un album intitolato “IV”, quasi a sancire una continuità con quel trittico datato 1969-1971, anche se va sottolineato che oltre a David Brown (morto nel 2000), anche Jose Chepito Areas non è presente nell’attuale line-up che, oltre a Gregg Rolie, Michael Shrieve, Michael Carabello e Carlos Santana, include Neal Schon (entrato nella band durante le registrazioni di “Santana III”), il percussionista Karl Perazzo e il bassista Benny Rietveld.

In verità “Santana IV” non è il primo album che riporta insieme la storica formazione: nel 1997, con la complicità di Alphonso Johnson, la presenza di Areas e senza Carlos Santana, la band di “Santana III” diede vita a un piacevole album intitolato “Abraxas Pool”, che sottolineava il ruolo di Gregg Rolie e sanciva la maturità espressiva di Neal Schon.

“Santana IV” è un album che deve il suo fascino proprio alla coesione della formazione e alla ritrovata voglia di suonare insieme. Non è un mistero, infatti, che nonostante il discontinuo successo discografico, Carlos Santana abbia preservato parte della sua fama grazie a una costante e vigorosa attività live sempre caratterizzata da eccellenti performance e da jam-session esplosive.

Ben lungi dall’essere un capolavoro all’altezza del passato, “Santana IV” è tuttavia una delle migliori reunion degli ultimi tempi. La varietà stilistica e la qualità delle performances riescono a mascherare alcune lacune legate alla scrittura, spesso vetusta e leggermente obsoleta, ma è altresì encomiabile che la band non azzardi contaminazioni moderniste poco adatte alla logica e alla dialettica sonora del progetto.

Con Gregg Rolie in gran forma e le due chitarre di Santana e Schon pronte a svettare sulle roboanti atmosfere, “IV” mette in campo una serie di coinvolgenti latin-afro-rock tra i quali svettano “Yambu”, “Leave Me Alone”, “Anywhere You Want to Go” e “Caminando”, mentre “Blues Magic”, “Forgiveness” e “Fillmore East” rinnovano le pagine più bluesy e psichedeliche della band, candidandosi a future-classic delle loro esibizioni.

Ingenuità e routine non mancano, soprattutto in episodi come “Freedom in Your Mind” e “Choo Choo” o nella languida “Sueños”, che viene comunque nobilitata da un Carlos Santana in ottima forma, ma resta difficile resistere all’energia vigorosa di “Love Makes The World Go Round” o al duello chitarristico di “Echizo”, dove fanno capolino alcune soluzioni jazz-fusion stile “Caravanserai” che animano anche l’altra ballata di “IV”, ovvero “You And I”.

La resa finale del ritorno dei Santana non è del tutto vincolata alla reale consistenza delle sedici tracce, ma alla percezione del pubblico: fan e nostalgici troveranno motivi di gioia e insoddisfazione in egual misura, i detrattori o i voltagabbana argomenteranno con intelligenti alchimie linguistiche l’inutilità dell’operazione – chi invece, come il sottoscritto, si chiederà se “IV” sia un album dignitoso e gradevole non potra che darsi una sola risposta: bentornati.

Quando a Woodstock ’94 hanno chiesto a Carlos Santana cosa ricordasse del raduno del 1969, lui rispose: «Niente. Ero fatto di mescalina». Aneddoto che dice tutto di questo figlio di un musicista mariachi del Jalisco diventato leggenda psichedelica a San Francisco, e spiega anche il senso delle sue ultime avventure discografiche: superato dalla storia, ma inattaccabile nel suo territorio di confine in cui convivono rock, blues e salsa (e benedetto da un tocco divino sulla Gibson), Santana vuole recuperare la memoria tornando indietro nel tempo.

Nel 2015 ha fatto il suo unico album in spagnolo, Corazòn e un tour con un amico dei tempi in cui suonava in strada a San Francisco, Phil Lesh, ora ha riunito la band che gli ha dato la gloria nel suo disco fondamentale, Santana III, n.1 in America nel 1971. Il fuoco latin-rock non sarebbe esploso senza Gregg Rolie, Neal Schon, Michael Carabello e Mike Shrieve, Santana lo sa e dopo 45 anni li richiama tutti, aggiungendo un’altra leggenda, Ronald Isley degli Isley Brothers. Santana IV è il disco che la superband avrebbe fatto se tutti non avessero preso strade diverse (Rollie e Schon nei Journey, Santana con la contaminazione jazz di Caravanserrai) e ha tutto quello che serve per farci dimenticare di essere nel 2016. 16 pezzi suonati da una band che rivendica il suo repertorio, dalla jam etnica di Yambu al jazz di Fillmore East, dal pezzo romantico (Suenos) al finale mistico (Forgiveness).

Nel 1967, dopo un’audizione, a Santana dissero che faceva meglio a tenersi il lavoro da lavapiatti al Tick Tock Drive-In. Ventitrè album dopo, eccolo con un disco fuori dal tempo, ma irresistibile.

Fonte internet 

 

 

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