I miti dell’alimentazione: illusioni, false certezze, sorprese


È difficile stare davanti a un vassoio di mele senza pensare che ne basta una al giorno per togliersi il medico di torno. O che un piattino piccante, se preso in buona compagnia, promette una "bella serata". Che cosa c'è di vero in queste piccole certezze quotidiane che non mettiamo mai in discussione?

I nutrizionisti di oggi vivono un'epoca d'oro: la genetica, la ricerca, la sperimentazione, le biotecnologie stanno svelando tutti i segreti meccanismi del nostro "funzionamento". E così, pian piano, i medici mettono al giusto posto il ruolo di minerali, proteine, vitamine, fibre e via dicendo, cioè di tutto quello che assumiamo mangiando o, addirittura, annusando il cibo.

Col risultato che i nutrizionisti, oltre a litigare tra di loro in quanto assertori di diverse e contraddittorie teorie alimentari, ci regalano pillole di verità a volte banali, altre volte sorprendenti. E molto spesso in aperto contrasto con certezze profonde che abbiamo acquisito da piccoli, in famiglia…

Chi non si è mai sentito dire «mangia gli spinaci, che ti rendono forte»? Ma è vera questa cosa degli spinaci (e del peperoncino, del cacao e via dicendo)? Per scoprirlo iniziamo un viaggio tra i miti dell'alimentazione.

Cioccolato, ciccia e brufoli

E magari fosse tutto qui: il cacao, si è detto, è anche causa di dermatosi, acne, herpes, orticaria, carie. Provoca addirittura dipendenza… Sì, e poi? Cos'altro ti hanno raccontato del cacao?

Il cacao e il cioccolato hanno avuto nemici terribili. A partire dalla "buona società" bacchettona di fine '700, che li considerava alimenti diabolici, fino quasi ai giorni nostri, puniti dalla confusione alimentare degli anni '60, che ha portato il fast food, i primi surgelati e altri cibi tanto diversi dai "nostri" che si si potevano chiamare solo esotici.

La ricerca scientifica ha poi fatto giustizia delle malelingue, riconoscendo al cacao le virtù che un oscuro naturalista svedese (di cui possiamo dire per certo solamente che era un goloso) gli aveva appiccicato addosso nel 1770 con un nome scientifico che era tutto un programma: theobroma, parola che in greco significa "cibo degli dei".

Da lì in poi, però, è stato il solito pendolo delle mode, e solo oggi a cacao e cioccolata si attribuisce addirittura la proprietà di combattere la carie, altro che provocarla.

 La teobromina, sostanza simile alla caffeina, è uno stimolante del sistema nervoso centrale e interagisce con un neurotrasmettitore, la serotonina, con effetti positivi sull'umore e sul sonno.

È stata poi scoperta, nel cacao, la presenza di composti analoghi agli ormoni: la fenilatilamina, in particolare, che è una sostanza che siamo capacissimi di produrre anche da soli… durante l'innamoramento.

Oggi ci sono perciò tutti gli elementi scientifici per una "assoluzione piena" del cacao, che però, la sua rivincita, se l'era già presa da solo nel 1964.               

Nel '64 nasce in Italia il cioccolato spalmabile.

In poco tempo invade il mondo, genera decine di imitazioni, conquista una generazione dopo l'altra senza fare prigionieri e diventa un'icona. Lo trovi sugli scaffali dei supermercati e nei menu dei ristoranti di lusso, nella dieta di studenti poco propensi a cucinare (in pratica, tutti) e in quella di sportivi in cerca di "carica". E fa coppia con quasi qualunque ingrediente immaginabile: tra i ricettari web meno autorevoli, è facile trovarlo associato agli spaghetti e persino ai wurstel! Nonostante tante e tali virtù, cacao e cioccolato sono alimenti grassi, ricchi di zuccheri, e perciò ipercalorici.

 Che cosa vuole dire? A meno che tu non abbia un metabolismo capace di bruciare completamente questi "veleni", devi rassegnarti a consumarne senza eccessi. Questo mito negativo non l'ha ancora smentito nessuno, purtroppo.

Il peperoncino è afrodisiaco?

È una spezia con proprietà diaboliche, si diceva del peperoncino agli inizi del 1600. Non per niente in Sudamerica lo usavano per speziare il cacao, altro "diavolo" perché dà piacere. Ma ci sono basi scientifiche per condannarlo o per assolverlo?

La fortuna del peperoncino è che tra estimatori e detrattori è stato oggetto di quattro secoli di studi. E nel 2005, grazie a una ricerca danese su un neuromodulatore identificato nella cosiddetta placenta del frutto, ossia la parte carnosa, è stato finalmente possibile mettere la parola "fine" a tante credenze popolari. Confermandole.

Arrivato in Europa con Cristoforo Colombo alla fine del '500, il peperoncino, come spezia, è stato un fallimento: attecchiva e cresceva dappertutto, e perciò, quanto a valore commerciale, non poteva competere col rarissimo pepe. Del frutto si sapeva poco: nelle americhe era usato per conservare e insaporire i cibi e, pare, anche come medicamento.

Ritrovamenti archeologici recenti, in Messico, fanno pensare che il peperoncino fosse usato già 7.000 anni fa come conservante per il cibo, grazie (oggi lo sappiamo) al suo contenuto di capsicina, un alcaloide con potenti capacità antibatteriche.

La capsicina (o capsaicina) è anche la sostanza che determina la "piccantezza". Questa si misura, molto empiricamente, sulla Scala Scoville, che va da 0 a 16.000.000: il peperoncino più forte mai assaggiato è nel Guinness dei Primati e aveva piccantezza 550.000. Per molto tempo si è pensato che il sapore fosse dovuto ai semi, ma non è così: la capsicina si concentra nella placenta ed è per questo motivo che le ricerche degli ultimi anni si sono indirizzate proprio lì.

L'azione della capsicina è simile a quella di un vasodilatatore: il sangue circola più rapidamente, il ritmo del respiro aumenta, può manifestarsi del rossore sul viso.

C'è anche altro (è un "brucia-grassi", per esempio) ma fin qui il potenziale afrodisiaco del peperoncino è ancora più immaginario che reale.

 Nella situazione giusta potrebbe anche funzionare (ma allora forse funzionerebbe qualunque cosa). Nella placenta, però, nel 2005 è stato identificato un polipeptide, il vasoactive intestinal polypeptide (Vip). E da ricerche meno recenti sappiamo già che il Vip è un neuromodulatore/neurotrasmettitore coinvolto in diversi aspetti fisiologici del tratto genitale maschile e femminile, dalla regolazione della follicologenesi (le cui disfunzioni ormonali sono la principale causa di infertilità femminile) alla stimolazione della piccola attività muscolare dei genitali stessi.

Come il cacao, anche il peperoncino si merita dunque la definizione di "diabolico". Resta però in da chiarire una cosa: l'uso eccessivo o la ricerca del frutto super piccante possono fare danni, e addirittura produrre ustioni, tant'è che la capsicina è l'ingrediente principale degli spray per autodifesa. Per fortuna alcol e latticini sono capaci di sciogliere la capsicina e di rimuovere il bruciore.

Il rimedio a un peperoncino troppo piccante è perciò sempre a portata di mano: un bicchiere di latte freddo. Oppure un alcolico, che oltre alla capsicina scioglie anche i freni inibitori.

 

 

Lo strano caso di Braccio di Ferro

1928: in America il marinaio Popeye (Braccio di Ferro), innamorato pazzo di Olivia, affronta per la prima volta l'arcinemico Bruto. Le prende, ma con le ultime forze che gli restano scoperchia un barattolo e ne ingoia il contenuto. E a quel punto diventa Super Braccio di Ferro e sbaraglia tutti. Cos'ha mangiato?

L'irascibile marinaio miracolato tiene sempre in tasca un paio di barattoli di spinaci cotti e quando è nei guai pesca da lì la sua riserva di forza. È convinto di quello che fa, e ancora oggi, nelle sue apparizioni in tv, sembra ignorare del tutto la verità. Perché qualunque cosa sia a dargli energia, di sicuro non sono gli spinaci.

Il guaio è che non è l'unico a credere a questa storia, che ormai va avanti da un secolo: generazioni di mamme mettono in tavola piattoni di spinaci invocando virtù che non hanno, e i bimbi, che notoriamente odiano mangiare "cose verdi", implorano pietà (e ne escono sconfitti).

Da cosa nasce questa convinzione irremovibile che gli spinaci rendono forti perché contengono ferro? L'origine della questione è incerta. La versione più diffusa incolpa un analista americano che, agli inizi del secolo scorso, compilava una delle prime tabelle nutrizionali: quando è arrivato alla voce "spinaci" ha sbagliato di un fattore 10 nella trascrizione del loro contenuto in ferro.

Su questa storia se ne sono innestate altre: l'analista era d'accordo con la lobby americana dei coltivatori di spinaci; i coltivatori hanno approfittato di un errore in buona fede; l'errore ha dato al disegnatore Crisler Segar l'idea giusta per anticipare di un ventennio i super eroi e così Popeye è diventato il più duraturo testimonial della storia della pubblicità…

L'errore è stato alla fine scoperto e corretto, pare, alla fine degli anni '50, ma senza clamore, fatto che ha contribuito a mantenere viva la leggenda.

Oggi sappiamo che 100 grammi di spinaci crudi contengono non più di 3 mg di ferro, oltretutto sotto forma di fosfato, un sale che siamo capaci di trattenere e utilizzare solo in parte. Molto meglio le lenticchie, che ne contengono almeno il doppio, ma non ditelo ai bambini, perché non vanno d'accordo neanche con queste.

Fonte Focus

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *