L’altro capo del filo


Nel raccontare l’ennesima avventura del commissario Montalbano, titolo “L’altro capo del filo”,  Camilleri non perde la buona abitudine di riflettere, a modo suo, sulla attualità e sulle tragedie del nostro tempo, offrendoci  una spunto sul quale ragionare. 

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Tornaro a ’mbarcarisi supra alla pilotina.

Macari il secunno sbarco si svolgì senza ’ncidenti. Si vidi che la farfantaria di Montalbano, di arristari e rimpatriari subito a chi faciva scarmazzo, funzionava alla pirfezione.

Dato che scinnivano quaranta migranti a vota, l’ultimo gruppo spariggio era composto da sulo dodici pirsone. Appresso a loro si misiro Montalbano, Osman e i dù agenti. 
Appena che il commissario fu supra alla banchina gli s’avvicinaro Fazio e Augello.
«Dottore» fici Fazio «avi i pantaluna completamenti strazzati. Si vidino macari le mutanne».
«Pirchì, ti scannalii?» spiò sgarbato Montalbano.
«Nonsi. Ma vuliva sulo avvertirla» fici arrisentuto Fazio.

A ’sto punto arrivò Sileci per salutari i sò colleghi. Ma le stringiute di mano vinniro ’ntirrotte da dù voci altirate che provenivano dall’ultimo gruppo sbarcato, oramà arrivato vicino al pullman. Si votaro a taliare.
Un agenti diciva a un migranti:
«Levati ’sta coperta. Levatilla subito!».
«No! No! No!» replicava dispirato l’autro, stringennosilla sempre di cchiù.
A ’sto punto l’agenti affirrò la coperta e circò di livargliela. 
Allura capitò ’na cosa stramma: il migranti gli lassò la coperta tra le mano e si misi a corriri alla dispirata. Era vistuto all’occidentali, con un paro di pantaluna di villuto, ’na speci di giubbotto e scarpi che stonavano tanto erano aliganti.
«Fermatelo! È armato» gridò l’agenti A ’sti parole Fazio scattò come a ’na lepri. Seguitato da Mimì Augello. In un vidiri e svidiri, i dù acchiapparo all’omo, lo ghittaro ’n terra e quanno macari Montalbano e Osman li raggiungero vittiro che Mimì circava di rapriri le mano dell’omo artigliate al petto con tutta la forza che aviva mentri che tirava càvuci e faciva voci:
«No! No! No!».
Finalmenti Augello arriniscì a farigli lassari la presa. Gli ’nfilò ’na mano sutta al giubbotto e tirò fora un oggetto longo e nìvuro.

«Ma è un flauto!» fici, completamenti strammato, mostrannolo all’autri. Alla vista di quello strumento musicali tutti ristaro ’mparpagliati. 
In quella situazioni il flauto pariva ’na cosa accussì estranea come se fossi caduta direttamenti da Marte. 
Privato del flauto l’omo era ristato ’n terra con le vrazza spalancate, la testa ’nclinata a mano manca. 
Pariva un crocifisso. 
Chiangiva silenziosamenti.
«Tiratelo su» dissi Montalbano a Fazio ed Augello.
Quanno l’omo, sostinuto dai dù, si ritrovò addritta Osman fici un passo avanti e lo taliò attentamenti, po’ dissi qualichi cosa in arabo. 
Ma l’omo l’interrompì subito:
«Parlo bene l’italiano».
«Mi scusi, ma lei non è Abdul Alkarim?».
«Sì» fici l’omo con un filo di voci.
«L’ho sentita suonare due anni fa al Maggio Fiorentino. Mi pare fosse L’après-midi d’un faune di Ravel».
«Sì» arripitì l’omo con voci sempre cchiù vascia. «È stato il mio ultimo concerto in Italia. Posso avere una sigaretta?». 
Montalbano tirò fora il pacchetto, quello se ne pigliò una, il commissario gliel’addrumò. 
«Se lo tenga pure con l’accendino» 
«Grazie» fici l’omo aspiranno avidamenti.
«Ma perché si è venuto a trovare in questa situazione?» spiò Montalbano.
«Poco dopo quel concerto» arrispunnì l’omo «sono venuto a sapere che mio fratello era stato arrestato dagli uomini di Assad e che sua moglie e la figlia di undici anni erano rimaste senza risorse ed erano a rischio di vita. Ho sentito il dovere di tornare in patria, clandestinamente però, perché anche io mi ero espresso contro il regime. Così sono riuscito sei mesi fa a mettere in salvo mia cognata e mia nipote e poi mi sono imbarcato anche io». 

Mimì Augello gli pruì il flauto che l’omo pigliò e riportò al petto carizzannolo a leggio. 
«Potrà servirle ancora» fici Osman.
«Non credo» dissi l’omo. «Se mi daranno l’asilo politico e avrò fortuna, spero di avere un lavoro come raccoglitore di olive».
Sileci, che si era avvicinato e aviva viduto la scena, fici:
«Sarebbe l’ora di andare».
«Grazie» dissi l’omo arrivolto a tutti.

Lo vittiro tornari verso il gruppo. L’agenti gli riconsignò la coperta, l’omo se la misi supra alle spalli e acchianò nel pullman. Montalbano dissi a Fazio di congidare l’òmini del commissariato. 
Sileci si misi con la sò machina in testa alla fila. Partero. Il corteo era chiuso da ’na granni camionetta coperta, dintra alla quali ci stavano l’òmini di Sileci. 
Di colpo la banchina parsi addivintata diserta. 
Montalbano taliò il ralogio. Erano le tri e mezza.
Troppo presto per i piscatori matutini e troppo presto per il rientro dei motopiscaricci che avivano passato la nuttata a travagliari. 
«Dove ha lasciato la macchina?» spiò ad Osman.
«Nel parcheggio del commissariato».
«Venga con me».
Si salutaro con Fazio e Augello e ognuno si nni annò per la sò strata.
n machina Montalbano e Osman non si scangiaro parola. 
Arrivati al posteggio il commissario scinnì con il dottore. 
Si stringero la mano.
«Io la ringrazio per la sua grandissima generosità».
Osman fici un gesto come chi voli scacciari a ’na musca.
«Ci sarò sempre, inch’Allah, quando ne ha bisogno. Cerchi di riposare».
E trasì nella sò machina. 
A malgrado che fusse stanco, Montalbano non se la sintì di annare subito a corcarisi. Raprì la porta-finestra, si armò di whisky e bicchieri, annò a circari un pacchetto di riserva e un accendino che sempre tiniva nel cascione del commodino e s’assittò fora. 
Sapiva che la notti era fridda ma non l’avvertiva forsi pirchì l’adrenalina continuava ancora a fari effetto.

Ripinsò al sonatori di flauto. La dignità, la compostizza di quell’omo l’avivano ’mpressionato assà. 

E subito lo pigliò un pinsero: quante, tra ’sti poviri miserabili, erano pirsone capaci di arricchiri il munno con la loro arti? quanti tra i tanti cataferi che oramà erano nell’invisibili cimitero marino sarebbiro stati capaci di scriviri ’na poesia le cui parole avrebbiro consolato, ralligrato, inchiuto il cori di chi stava a liggirla?
Ma, macari, a parte ’sta considerazioni, quanto altruismo, quanta ginerosità dell’omo verso l’omo annava pirduta in quella tragedia che s’arripitiva ogni notti? 

Il sonatori di flauto aviva arrenunziato a ’na vita commoda, fora da ogni piricolo, aviva arrenunziato all’applausi, aviva arrenunziato alla sò arti per corriri ’n soccorso dei sò familiari, arrischianno lui stisso di finiri ’ncarzarato come a sò frati. 

’Nzemmula a quei morti, stava naufraganno macari il meglio dell’omo.
 

Tratto da ” L’altro capo del filo” di Andrea Camilleri

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