La felicità della democrazia


Si avvicina il tempo delle vacanze e per molti, me compreso, la possibilità di dedicare un pò di tempo alla lettura e all’approfondimento che, presi dal quotidiano, di solito dobbiamo “rubare” alle nostre giornate.

Un libro che vi consiglio di leggere è  ” La felicità della democrazia” di Ezio Mauro  e Gustavo Zagrebelsky, che ho

trovato interessante anche come momento di riflessione, e del quale vi allego qualche stralcio.

Buona lettura:

Pensi davvero che ci sia da temere per la democrazia, anche solo come forma politica? Non ti pare che ormai, nel mondo occidentale, nessuno oserebbe proclamarsi antidemocratico? Perfino i dittatori, quando prendono il potere, sciolgono il Parlamento e sospendono i diritti, dicono di farlo per restaurare la ‘Vera democrazi

La democrazia è l’ideale del nostro tempo. Ma la democrazia è un sistema di governo molto compiacente. Può ospitare tante cose, senza abbandonare il suo nome.

C’è da preoccuparsi perciò della sua salute, cioè della sua efficacia, che è poi la sua capacity di mantenere le promesse. Non è strano infatti che alla massima estensione spaziale della democrazia corrisponda un’insicurezza, anzi uno scetticismo crescente, diffuso e diffusivo nei suoi confronti?

Il disincanto democratico, si sta diffondendo sempre di più, non tra chi appartiene ai giri del potere, ma tra chi ne è escluso.

E il segno che la democrazia, come ideale politico si sta appannando, anzi, sta facendo una semi-rotazione: dal basso all’alto.

Prologo

Democrazia: la parola e la cosa. Tra questi due termini stanno le considerazioni raccolte nelle pagine che seguono. La parola è piena di promesse. Dal tempo in cui, duemilacinquecento anni fa in Occidente, si è incominciata la riflessione sull’organizzazione politica delle società umane e di questa riflessione ci è rimasta memoria, la parola democrazia ha fatto un lungo viaggio ideale: indicava allora (basti pensare al libro VIII della Repubblica di Platone) il peggiore flagello che potesse abbattersi su un popolo; indica oggi un’aspirazione che progressivamente si è diffusa fino a diventare universale.

La parola democrazia sembra ora contenere tutto ciò che di buono, di giusto e di bello ci si può attendere dalla politica. Per questo ogni giustificazione dell’agire politico deve per forza richiamarsi alla democrazia. Questo è il lato della medaglia dove è iscritta e luccica la parola democrazia.

Sull’altro lato della medaglia, c’è la cosa. Ciò che vi vediamo è la frustrazione continua e crescente delle aspettative alimentate dalla parola.

Quello che brilla da un lato è opaco dall’altro. La democrazia, per riprendere un’espressione di Norberto Bobbio, ci appare il regime delle «promesse non mantenute»: una fata Morgana che distribuisce illusioni, nel migliore dei casi; nel peggiore, una maga Circe che, dagli esseri umani, adescandoli, tira fuori il lato meno nobile.

Dunque, un regime dell’inganno e della corruzione. Anzi, un regime che seduce con l’apparenza per dissimulare una cosa repulsiva: il governo consegnato alla parte peggiore degli esseri umani.

Tra questi poli – la speranza e la disillusione, l’idealismo e il realismo – si svolge oggi il dibattito. Realisticamente, cioè guardando in faccia non la parola ma la cosa, non la teoria ma la pratica, si è giunti a formulare una domanda: «democrazia, perché?».

È un interrogativo retorico, dettato da sfiducia e rassegnazione, che va alla radice, che misura la distanza tra ciò che la democrazia dovrebbe essere e ciò che invece è.

È la tensione cui non si può sfuggire se non cedendo ingenuamente alla vuota utopia, o all’abdicazione degli ideali, cioè al realismo senza speranza.

L’intento di tener conto insieme dell’essere e del dover essere della democrazia è quello che muoverà anche questo nostro dialogo.

Una voce non servirà all’altra; ciascuna non sarà un monologo che si sviluppa per sua logica interna; né avrà l’obiettivo di prevalere sull’altra. Il dialogo – dià lógos equivale a parola trasversale, parola che va e viene – è il discorso che si sviluppa a più voci, a partire da una che si rivolge a un’altra, per ritornare indietro e ricominciare, senza che si sappia dove porterà, e nemmeno se porterà da qualche parte.

Potrebbe perfino accadere che, alla fine, ciascuno debba andarsene per la sua strada, come se nulla fosse accaduto. Ogni dialogo veritiero, perciò, è una scommessa.

Sebbene presupponga uno scopo cooperativo e una disponibilità a mettere in gioco le proprie idee per cercarne insieme di nuove, l’esito è aperto. Non si sa in anticipo se produrrà accordo o disaccordo; se sarà costruttivo, distruttivo, o vano.

Dialogare è difficile: occorre ammettere a priori la possibilità di uscire diversi da come si era all’inizio, di abbandonare convinzioni precedenti, di riconoscere propri errori.

Per questo siamo così disabituati al dialogo. Siamo tutti legati alle nostre idee; anzi, le nostre idee ci legano e, al tempo stesso, ci proteggono e danno sicurezza. Ci sembra che, se le si tocca in qualche modo, siamo noi stessi a essere intaccati. Se siamo colti in fallo, non ci sentiamo liberati da un errore, come dovrebbe essere, ma ci sentiamo umiliati.

Così sebbene da ogni parte s’invochi il dialogo come toccasana d’ogni difficile convivenza, raramente se ne accettano i presupposti e le conseguenze. Spesso si chiama dialogo ciò che è mera giustapposizione di discorsi che non s’incontrano, oppure ciò che è sopraffazione di parole che cercano di prevalere, come nelle dispute politiche davanti a un pubblico che vuole parteggiare, non ragionare.

In ogni caso, anche se pare essere, o effettivamente è, inconcludente, ogni dialogo veritiero un risultato positivo lo raggiunge: ingenera il dubbio, che è il tratto distintivo più prezioso e autentico del pensiero umano.

Non sarebbe poca cosa, in un’epoca come la nostra in cui, forse,  come difesa nei confronti degli immani problemi del tempo presente, gli intelletti sono indotti alla rinuncia, cioè al dogma o alla rassegnazione,

Vincenzo

 

Tratto da ” La felicità della democrazia” di Ezio Mauro  e Gustavo Zagreblesky

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